venerdì 17 luglio 2009

L'alba di un mattino d'agosto





Sono solo.
Mi guardo intorno ed osservo il mare calmo come un lago.
Le increspature delle fievoli onde evidenziano la trasparenza delle acque mettendo in risalto leggere striature di blu, di verde, di azzurro.

Poco distante un vecchio marinaio con le dita deformi rammenda le maglie delle rete danneggiata.
Un piccolo gozzo scivola dolcemente sulla sua invasatura pronto a prendere il largo per una battuta di pesca.
La pace regna sovrana in quella mattina d'agosto.

Inspiro l'aria purissima carica di iodio,che odora di alghe.

Uno stormo di gabbiani cammina saltellando sulla sabbia, altri si librano nell'aria battendo lentamente le ali. Noto le candide piume, le ali snelle e appuntite, osservo estasiato il loro volo acrobatico ed il repentino tuffarsi a caccia di cibo.
Una coppia si stacca dal gruppo. Eleganti e maestosi, con le ali ferme e aperte, si lasciano portare dall'aria, vanno verso l'orizzonte, li seguo con lo sguardo invidiando il loro volo, provando un senso di nostalgia impossibile da descrivere.

In lontananza un gruppo di persone non più giovani, quasi tutti provenienti dai paesi dell'entroterra, ognuno con un ombrello in mano per ripararsi dall'imminente sorgere del sole, le donne con indosso lunghe sottane nere, gli uomini con strani sbrindellati costumi da bagno, in fila indiana arrancano sul bagnasciuga, in silenzio, avanzando lentamente nell'acqua.Pare che il loro sforzo abbia un effetto terapeutico per i loro reumatismi.
In lontananza, avvolto dalla foschia mattutina, scorgo il promontorio di Capo Zeffiro un agglomerato di scogli neri, un anfratto naturale dove il mare e' cosi' limpido che si possono vedere i raggi del sole giocare sui sassi del fondo a decine di metri sotto la superficie dell'acqua.Quanti ricordi riaffiorano nella mia mente.

Allora ero giovane, con la passione per la pesca subacquea nel sangue. Ore ed ore immerso nell'acqua senza muta di protezione, armato solo di un buon fucile ad aria compressa, occhiali e pinne.Il fondale ricco di pesci mi spingeva ad affrontare il mare quasi giornalmente Ricordo che un giorno io ed un mio amico che condivideva la mia stessa passione, decidiamo per una battuta di pesca ai saraghi nei bassi fondali del Capo.

Immersione e scrupolosa esplorazione tra gli scogli. Di saraghi nemmeno l'ombra. Dopo pochi minuti decido di spingermi da solo in un fondale di circa dieci metri. Improvvisamente uno sciame di pesci anche di notovoli dimensioni, mi viene incontro all'impazzata.. Mi guardo attorno ed in lontananza scorgo la sagoma di un pesce dalla stazza notevole che tranquillamente mi viene incontro. Incomincio ad insospettirmi e all'improvviso eccolo lì. Il corpo allungato, la testa appuntita , il muso aguzzo. E' lo squalo "Verdesca". Si avvicina maestosamente con movimenti lenti e sinuosi, fluidi e senza sforzo. Sembra incuriosito, mi osserva mantenendosi a debita distanza.Ma poi mi gira attorno avvicinandosi pericolosamente. Seguo con un po' di apprensione i suoi movimenti. Ho la netta sensazione che stia per assalirmi.Vedo la grande bocca , i forti denti triangolari. Posso colpirlo a morte. Il mio dito è pronto a schiacciare il grilletto che farà schizzare l'asta. Fortunatamente, con un violento colpo di coda, scompare dalla mia visuale. Incontrare il predatore indiscusso dei fondali marini, vederlo nuotare tranquillamente è una delle più belle esperienze che un subacqueo possa avere.

Ritorno con lo sguardo sulla spiaggia.

I gabbiani continuano il loro volo acrobatico, il vecchio pescatore continua a rammendare la rete, la barca da pesca è ormai un puntino all'orizzonte. Senza volerlo mi ritrovo all'improvviso vicino ad un grosso gozzo capovolto, il fasciame interamente marcio, le fiancate ancora intatte. Guardo più attentamente e mi pare di intravedere la sagoma della bella ragazza mimetizzata nella poca luce dell'alba. Avevo ventiquattro anni, lei diciotto. Era notte inoltrata di un dieci agosto.
Mi allontano precipitosamente da quel luogo temendo che i sensi di colpa e l'amarezza sepolti nella mia memoria, possano tornare a tormentarmi.

All'improvviso un bagliore rosato cresce all'orizzonte.Finalmente sorge il sole. Un nuovo giorno inizia sulla spiaggia di Bianco.

Riesco a scattare una foto per fissare quel magico momento La vita riprende. I gabbiani strillano vivacemente, i pesci tornano a disegnare morbide linee senza fine a pelo dell'acqua.Alcuni granchi fuggono rapidi in ogni direzione nell'intento di evitare i miei passi.

E' tempo di ritornare alla dura realtà di ogni giorno.
f.scordino

giovedì 19 febbraio 2009

SENERCHIA 1980------IL RITORNO



















































Il viaggio di ritorno da Senerchia è stato forse più traumatico essendo stato testimone oculare di uno di quegli avvenimenti tragici che lasciano segni indelebili nella propria esistenza.Nei primi giorni del terremoto si andò formando una complessa gara di solidarietà che spinse migliaia di volontari, soprattuto giovani, provenienti da tutta Italia a raggiungere i paesini più disastrati per portare soccorso e generi di prima necessità, operando nel caos più totale.Per quanto mi riguarda ebbi non poche difficoltà con le autorità portuali nell'ottenimento della documentazione necessaria per l'imbarco da Palermo. Vi era una forte richiesta di roulotte e svariati giovani, come me, erano partiti da tutte le regioni per portare i loro mezzi nei centri terremotati.Quello che sto per narrare è la tragica storia di uno di loro.Era tempo di lasciare Senerchia e i suoi orrori.Dovevamo ripartire per raggiungere Napoli dove ci saremmo imbarcati sulla nave per Palermo.La pioggia si faceva sempre più violenta. Diedi uno sguardo a quello che rimaneva della strada in ripida discesa che di li a poco avremmo affrontato per raggiungere la ss.91 Mi metto al volante, avvio l'auto e con molta cautela affronto lentamente la discesa. Percorro qualche centinaio di metri quando la macchina incomincia improvvisamente a scivolare sul sottile strato di ghiaccio che si era formato sull'asfalto. Tocco leggermente i freni, ingrano la marcia inferiore per rallentare il più possibile l'andatura ma inutilmente.La vettura comincia a sbandare paurosamente.Non posso fare altro che cercare di mantenerla il più possibile al centro della carreggiata.Eravamo consapevoli di quello che si sarebbe potuto verificare da un momento all'altro ma non ci siamo fatti prendere dal panico.Se l'auto avesse deviato a destra saremmo andati a finire nel vuoto di un profondo canalone, a sinistra saremmo andati a sbattere sulla fiancata rocciosa della collina. L'auto continuava la sua folle corsa scivolando sulle lastre di ghiaccio.A volte sbandava a sinistra altre a destra.Quando tutto sembrava perduto, la ruota sinistra della macchina urta violentemente un grosso masso posto al centro della strada causando una brusca sterzata a sinistra e l'auto senza alcun controllo infila una delle rare e strette trazzere usate di solito dai contadini, restando incastrati ma incolumi. Anche in questa comica situazione ci viene in aiuto un agente della forestale che con il suo fuoristrada ci toglie da quella scomoda posizione rimettendoci sulla strada.Rivolgiamo un sentito ringraziamento al Padre Eterno per lo scampato pericolo e con la massima attenzione ci rimettiamo in marcia e senza altri incidenti raggiungiamo la ss. 91. Dopo qualche chilometro imbocchiamo la Salerno-Napoli intasata da un intenso traffico veicolare sulle due carreggiate.La pioggia incessante si costringe ad avanzare lentamente. Percorsi pochi chilometri, in prossimità di una larga piazzola notiamo una macchina capovolta sul ciglio della carreggiata opposta.Rallentiamo dando un fuggevole sguardo ritenendo l'incidente uno dei tanti a cui ci siamo imbattuti durante il nostro percorso. Avremmo continuato la corsa se il militare che fungeva da scorta non mi avesse bfatto notare un corpo umano disteso accanto alla macchina. Blocco l'auto sulla corsia di emergenza. Il traffico era intenso sulle due corsie. Attraversarle era estremamente rischioso, ma affidandomi alla mia buana sorte che sino ad allora mi aveva protetto, attraverso la carreggiata.Riesco ad evitare le auto che sfrecciavano a velocità folle nonostante la pioggia e raggiungo la zona dell'incidente. Il corpo disteso era quello di un giovane la cui età non superava i quaranta anni, la posizione del corpo non era scomposta bensì disteso supino come se dormisse. Le braccia aderenti al corpo, il viso cosparso da una barba non rasata da giorni. Gli occhi erano aperti ma non spenti, la corporatura snella. Non notavo ferite apparenti ma a tratti sulla bocca si formava una bolla di saliva mista a sangue. Era evidente che aveva una forte difficoltà nella respirazione. Volevo aiutarlo ma non osavo toccarlo. Mi inginocchio accanto, appoggio la mano sulla sua fronte per fargli sentire la mia vicinanza.Mi faccio portare il telo cerato del carrello con il quale copro il corpo inzuppato dalla pioggia. Stringo delicatamente la sua mano sinistra ma era gelida. Ho cercato di agevolare la respirazione liberando la bocca da quel miscuglio di muco e sangue. I miei amici intanto si adoperavano a bloccare una delle tante ambulanze che sfrecciavano a sirene spiegate per raggiungere il luogo di altri incidenti. Intanto continuavo ad eliminare muco dalla bocca non appena la respirazione cessava. Il militare dopo tanti tentativi riesce a bloccare un'ambulanza della croce verde. Il medico e l'infermiere resosi conto delle gravissime ferite, con la massima cautela caricano quel corpo martoriato e partono per l'ospedale di Salerno non prima di avermi rassicurato che se non avessi operato come avevo fatto quel giovane sarebbe senz'altro già morto per soffocamento. Subito dopo arriva la polizia stradale. Un agente raccoglie dall'auto i documenti personali del povero giovane. Dal poliziotto vengo a sapere il cognome ed il luogo di provenienza, Biella. Raggiunsi Palermo ma la visione di quel giovane era sempre presente e viva.Non riuscivo ad avere notizie nonostante le diverse telefonate fatte sia agli ospedali di Salerno che a quelli di Napoli. Infine decido di telefonare a Biella contattando le persone con quel cognome.
Alla dodicesima telefonata mi risponde una persona anziana. Stavo spiegando cosa volessi sapere quando la signora scoppia a piangere e tra un singhiozzo e l'altro mi riferisce che quel giovane era suo figlio, sposato con una bambina, partito da Biella in macchina con una roulotte al traino da consegnare ai terremotati dell'Irpinia. Che inizialmente era stato portato all'ospedale di Salerno ma date le gravissime ferite riscontrate i medici hanno ritenuto opportuno trasferirlo all'ospedale di Napoli dove è morto qualche giorno dopo. Mi disse inoltre che aveva saputo di una persona rimasta accanto al figlio morente aiutandolo a vivere qualche giorno in più. Ho espresso qualche parola di conforto ma mi è mancato il coraggio di dire che quel giovane ero io.Ancora oggi ricordo il pianto straziante di quella madre distrutta dal dolore per avere perso un giovane figlio generoso ed altruista sino all'estremo sacrificio di cui le cronache del tempo non hanno dedicato neanche un trafiletto. Questi sono i veri eroi il cui ricordo rimarrà sempre vivo nella memoria delle persone che hanno avuto la fortuna di incontrare durante il percorso della propria esistenza.

giovedì 12 febbraio 2009

Senerchia (AV) su Flickr - Condivisione di foto!








































SENERCHIA 1980- nell'inferno e ritorno
Ho superato la terza età. . Adesso è solo tempo di ricordi.
A distanza di tanti anni, mi torna in mente il viaggio allucinante da me effettuato quel tragico giorno del 28 novembre 1980.
Il terremoto dell'Irpinia si era verificato il 23 novembre 1980 e colpì la Campania centrale e la Basilicata portando distruzione e morte sopra tutto nei piccoli paesi arroccati alle pendici delle montagne circostanti.
Le drammatiche immagini diffuse dalla stampa e dalla TV, colpirono profondamente il mio animo di meridionale. In ufficio non si parlava che del terremoto, commentavamo le immagini di desolazione e morte e ci domandavamo cosa avremmo potuto fare per portare un po' di solidarietà a quella popolazione martoriata.

Rimasi particolarmente colpito dalla cronaca toccante fatto da uno sconosciuto cronista.Parlava di un piccolo paese dell'avellinese, Senerchia, posto a 600 metri d'altezza, quasi completamente distrutto e non ancora raggiungibile dai soccorritori.

Ma vedere il terremoto è una cosa, viverlo e tutta altra cosa. Io l'ho sentito e vissuto.

Accadde quando decisi di rendermi concretamente utile partendo da Palermo con la mia nuova auto, una Fiat Supermirafiori con carrello al traino.

Con i mezzi carichi di medicinali e vestiario io ed un mio collaboratore ci imbarchiamo per Napoli destinazione Senerchia piccolo paese di 876 abitanti situato a 600 metri s.l.m. in zona collinare .

Ci documentiamo sull'itinerario da percorrere. Senerchia, centro Irpino dell'Alta Valle del Sele è situata a sud-est del capoluogo Avellino ed al confine con la provincia di Salerno. Per raggiungere il paese è necessario percorrere la Salerno-Reggio Calabria, uscire allo svincolo di Contursi Terme e proseguire per la ss.91.

Seguiamo alla lettera tale percorso ma a pochi chilometri da Contursi, veniamo fermati da una pattuglia di carabinieri. I militari ci avvisano che non è prudente proseguire perché alcune bande di balordi fermano le auto dei soccorritori e si impossessano di tutto. Ci consigliano di recarci nella loro vicina stazione con la speranza che il maresciallo possa darci una mano. Veniamo accolti con la massima cortesia e comprensione ma ci viene detto che, data la tragica situazione, era praticamente impossibile assegnarci un militare per protezione.
Ciò non ci scoraggia minimamente Eravamo decisi a proseguire con scorta o senza.
Preso atto della nostra determinazione, il maresciallo si mette in contatto telefonico con un vecchio appuntato prossimo alla pensione che esprime la sua completa disponibilità e pronto ad unirsi a noi.

Trascorsi venti minuti arriva il militare, esprimiamo tutta la nostra gratitudine al maresciallo per la sua disponibilità e ripartiamo sotto una pioggia intensa mista a neve. La strada presenta continue insidie, avvallamenti, massi, tronchi d'albero.Ma riusciamo a raggiungere il primo paese, Laviano.Lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è davvero agghiacciante. Non una casa in piedi ma solo desolanti macerie. Non è possibile proseguire. Ci viene in aiuto una pattuglia della forestale che con una pala meccanica realizza un varco tra le macerie. Quando un agente viene a sapere della nostra destinazione, ci indica sulla carta che alcuni paesi, Santomenna, Castelnuovo di Conza, Marra, Valva e Senerchia non sono ancora stati raggiunti dai soccorritori.

Sempre determinati a proseguire, raggiungiamo Santomenna.
qui il disastro era totale. Grossi muri caduti, interi palazzi sventrati, colonne di auto di soccorritori privati, qualche ambulanza, tantissimi camper.Avanziamo lentamente, ma dopo qualche chilometro, notiamo un gruppo di uomini che ci fa segno di fermarci. Ci rendiamo subito conto che quegli individui non erano poliziotti bensì una delle bande di sbandati di cui ci aveva parlato il militare. Fermo l'auto più infastidito che intimorito, ma pronto ad usare ogni mezzo per non farci sopraffare.

Ci chiedono subito di consegnare tutto ciò che trasportiamo senza fare storie altrimenti ci avrebbero preso anche l'auto. Cerchiamo di far capire loro che non intendiamo consegnare alcunché. Neanche dopo che l'appuntato si qualifica desistono dai loro propositi. Non resta che il dialogo. Chiedo chi era il capo: si fa avanti un giovane ben vestito, date le circostanze, con una leggera peluria sul viso, con la mano sinistra stringeva una specie di manganello, con l'altra si accarezzava continuamente il mento.Mi dava l'impressione che si stesse vergognando di quello che stava per fare.

Ci appartammo.Gli dissi che veniamo da Palermo, che abbiamo fatto tanta strada solo per portare un po' di sollievo a chi ne aveva veramente bisogno, che avremmo fatto di tutto per non perdere la merce.

Inaspettatamente la sua espressione cambia; lo sguardo diventa meno torvo ed accenna ad un sorriso. Mi afferra la mano stringendomela con forza:mi stringe a se baciandomi sulle guance, come è in uso a Palermo, mi rivela che anche lui è palermitano , che per un tentato omicidio era stato confinato in quel paese in attesa del processo ed infine che mi avrebbe lasciato andare. Mi chiese solo qualche flacone di insulina per la propria madre diabetica. Lo accontentai e gli augurai buona fortuna. Ci salutammo da buoni amici raccomandandomi che nel caso dovessi fare ulteriori spiacevoli incontri, avrei potuto dire che ero un amico di "faccia d'angelo".
Ripartiamo con una pioggia sempre più insistente.Ancora pochi chilometri e avremmo visto il bivio per Senerchia.

Alla pioggia ora si aggiunge anche la neve. Imbocchiamo la strada in salita. L''auto incomincia ad arrancare, le ruote slittano facilmente, evitiamo tronchi d'albero, avvallamenti,frane, ma quando la strada diventa molto ripida, l'auto si ferma. Vani i tentativi per farla ripartire. Ancora una volta ci viene in aiuto la forestale che rappresentava l'avamposto dei soccorritori con pochi militari. Agganciano l'auto ad uno dei loro mezzi pesanti.Veniamo trainati con difficoltà,causa la strada enormemente dissestata ,sino all'unica piazza del paese, a 600 metri d'altitudine. Scendiamo dall'auto stanchi e infreddoliti. Sentiamo subito la terra che trema sotto i nostri piedi causandoci delle vertigini. Accatastate a pochi metri di distanza vediamo decine di bare. Ci viene detto che sono destinate ai morti che ancora devono essere estratti dalle macerie. Non riesco ad individuare una casa intatta ,solo macerie, le strade deserte, un silenzio irreale. Solo poche forestali intenti a scavare con pale e picozze.
La chiesa parzialmente sventrata fungeva da ricovero.

Non una roulet o camper,Solo neve e tanto freddo.Veniamo accolti da un prete intento a sistemare una grande tenda. Alcuni sopravvissuti si avvicinano alla macchina ma non chiedono nulla. Aspettano. Il loro sguardo smarrito e incredulo. Non noto bambini. Una vecchietta ci chiede sottovoce, quando sarebbero arrivati i soccorsi, perché sono sfiniti dalla fatica e dalle sofferenze, loro stessi hanno scavato a mani nude cercando i propri parenti sepolti dalle macerie. Ho chiesto perché non intendono allontanarsi, scendere a valle e mettersi al sicuro.Mi rispondono che non abbandoneranno mai quello che resta delle proprie case, che affronteranno l'inverno anche sotto una tenda. Andare via voleva dire essere sconfitti, perdere le poche cose, gli animali, il raccolto. Distribuiamo indumenti pesanti; al prete consegnamo tutte la medicine. Altro non possiamo fare se non assicurarli che presto sarebbero arrivati i militari con i loro mezzi meccanici, viveri e medicinali.


Le foto sono state scattate dall'amico e collega, Luigi Cusumano, morto prematuramente. Da abile fotografo dilettante ci lascia una testimonianza reale e tragica di ciò che era rimasto di Senerchia,uno dei Comuni più suggestivi dell'Irpinia, cittadina di grande storia e di antiche tradizione medievali dove un tempo si andava per ammirare le sue bellezze paesaggistiche, le sue chiese, le sue tradizioni artistiche e religiose.

Quando sono ritornato a Palermo ho faticato a riabituarmi alla vita di sempre Il ricordo di quella gente colpita a morte , fiera della sua terra, determinata a rimanere lì, ad affrontare l'inverno, la distruzione, rimarrà viva per sempre tra i miei ricordi.


F.Scordino



domenica 8 febbraio 2009

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martedì 3 febbraio 2009

MERITATO RIPOSO


dopo una bella sbronza,
una meritata dormita.

VITA DI GLORIA E AMORI

MEGLIO VIVERE UN GIORNO DA LEONE CHE CENTO GIORNI DA PECORA